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Futurismo milanese

 

 

 

MARINETTI E LA CELEBRAZIONE DELLA MACCHINA

La moderna bellezza della velocità tocca dunque il suo culmine nell’automobile, che supera esteticamente uno dei capolavori dell’arte classica.

Veemente dio d’una razza d’acciaio,
Automobile ebbrrra di spazio,
che scalpiti e frrremi d’angoscia
rodendo il morso con striduli denti...
Formidabile mostro giapponese,
dagli occhi di fucina,
nutrito di fiamma
e d’olî minerali,
avido d’orizzonti e di prede siderali...
io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente,
scateno i tuoi giganteschi pneumatici,
per la danza che tu sai danzare
via per le bianche strade di tutto il mondo!...

Questi versi del ditirambo[1] “all’automobile da corsa”, composto da Filippo Tommaso Marinetti nel 1905, sono già l’anticipazione del tema fondamentale della modernità e delle speranze ad essa legate: la nuova bellezza meccanica - proclamata poi nel Manifesto di Fondazione del futurismo nel 1909 - viene celebrata come mezzo di trasporto individuale che procura al guidatore un esaltante senso di onnipotenza e ubiquità

Marinetti: ”Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita”. Nel preambolo dello stesso Manifesto è narrata una scorribanda in automobile, in cui il poeta finisce con la sua macchina in un fossato, l’immersione è come una simbolica iniziazione alla vita futurista.

Manifesto del Futurismo, lanciato il 20 febbraio 1909 da Filippo Tommaso Marinetti sul giornale parigino “Le Figaro”.

La nuova realtà portata dalla macchina induce i futuristi ad esaltare, spesso in modo indiscriminato, la civiltà industriale ed urbana:

“Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde divoratrici di serpenti che fumano; le officine appese alle nuvole pei contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta”.

La rappresentazione, ricca d’immagini della città e del mondo moderno, si allarga alla nuove possibilità per l’uomo, ad una grande fiducia nel progresso per cui nel Manifesto futurista del 11 maggio 1913 si legge: “…L’uomo moltiplicato dalla macchina”.

Nel romanzo “Mafarka il futurista”, F. T. Marinetti, narrando le imprese del re africano Mafarka-el-Bar, racconta come quest’ultimo “senza il concorso della donna, per il solo sforzo della volontà esteriorizzata” dia alla luce il figlio Gazurmah, “uccello invincibile e gigantesco che ha grandi ali flessibili fatte per abbracciare le stelle “.

Oltre al motivo del superuomo e del disprezzo per la donna, è presente nel romanzo il tema della celebrazione della macchina. All’ideazione di Gazurmah, l’uccello meccanico, partecipano i fabbri che costruiscono la gabbia di ferro e quercia per difenderlo contro la rapacità del vento, i tessitori che preparano la stoffa che rivestirà le ali palmate e lo stesso Mafarka che ne scolpisce il volto nel legno di una quercia.

Gazurmah non è, però, un semplice aggregato di parti, ma un organismo vivo, dotato pure di movimento, vita e anima. La macchina, salutata entusiasticamente nelle forme dell’automobile, o dei piroscafi e degli aeroplani, si antropomorfizza.

Si sviluppa”La nuova religione morale della velocità” che contro l’immobilità del passato, libera a simbolo della modernità, le possibilità di attivismo e dinamismo: la macchina è il mezzo e il fine della creatività artistica e della sensibilità estetica e comprende tutte le manifestazioni culturali dell’uomo: dalla nuova forma dell’uomo meccanico al suo trionfo nella guerra.

I futuristi trasformano la macchina in una metafora dell’esistenza, offrendo l’illusione di un fondamento concreto e oggettivo in una visione del mondo che per molti aspetti diviene astratta, delirante e irrazionale.

Nato nell’ambito letterario e artistico, investendo tutti i campi dell’arte con una straordinaria ricchezza di esperienze e di capolavori, come ogni avanguardia[2] storica, il futurismo auspica per l’intellettuale un ruolo da protagonista nella società. La coscienza delle condizioni del lavoro intellettuale e artistico nella società moderna, comporta il fatto che anche l’arte non sfugga alle leggi del sistema produttivo e sia adeguata rispetto alle esigenze della modernità.

Marinetti e i suoi amici scartano alcuni nomi, come “dinamismo”, “elettricismo”, perché di scarsa efficacia propagandistica. Il termine Futurismo, invece, racchiude in sé in modo pertinente il carattere di un movimento proiettato verso il futuro. A Marinetti, che crede nelle coincidenze e nella cabala, il nome piace ancora di più perché nella parola ci sono anche le iniziali del suo nome: FuTurisMo.

Nel primo decennio del Novecento il futurismo rimane un movimento elitario, che comunque si indirizza alle grandi masse con principi e idee comuni esposte in forma di Manifesti; è aggressivo; ha un programma di vita, di azione, di eversione; cerca di abbracciare ogni aspetto della vita pratica e artistica.

L’Ebbrezza delle grandi velocità in automobile rappresenta la gioia di sentirsi fusi con il mito della modernità che in Italia comincia a diffondersi e svilupparsi, sia pure in ritardo rispetto agli altri paesi europei, dopo la prima guerra mondiale a partire dal 1922. Gli sportsmen diventano allora i primi uomini concreti e comuni di questa nuova religione che nel corso del tempo porterà dall’esaltazione alla distruzione delle case e delle città.

Lo spirito del Futurismo sembra talora essere più sportivo che culturale: prevale il “misticismo dell’azione”, si auspica addirittura il predominio della ginnastica sui libri. La vita deve essere amata nelle forme più moderne, più dinamiche, senza timore per il rischio, e per il nuovo in tutti i campi.


PAROLE IN LIBERTÀ

Anche in letteratura i futuristi cercano di sostituire i vecchi temi con i nuovi, prendendoli dalla vita della moderna città industriale, colta nel suo dinamismo e nel suo disordine.

Le “lune elettriche” sostituiscono lo sdolcinato “chiaro di luna”, simbolo ormai stantio del Romanticismo. Uccidiamo il chiaro di Luna! Era il titolo programmatico di uno dei manifesti marinettiani.

Ai temi nuovi devono necessariamente corrispondere anche forme nuove.

L’“antica sintassi”, il periodare classico, non possono reggere alla successione rapida delle impressioni suscitate dalla velocità.

Il verso tradizionale non può adattarsi alla velocità dei nuovi ritmi. Marinetti, nel suo Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912) e nel suo approfondimento Distruzione della sintassi. L’immaginazione senza fili. Parole in libertà (1913), proclama la distruzione di ogni scrittura normale e prescrive l’abolizione dell’aggettivo qualificativo, dell’avverbio, della punteggiatura, l’uso del verbo all’infinito e di “aggettivi-semaforici”, l’uso libero dei segni matematici e musicali, di caratteri tipografici e colori diversi, di onomatopee, di “parole riplasmate e deformate a scopo rumoristico”.

Questi elementi sono a fondamento della poetica marinettiana delle “parole in libertà”. Dopo aver rinunciato alla logica, alla scrittura razionale, alla scansione sintattica tradizionale, il futurista si affida ad una dimensione intuitiva, che procede per immagini e analogie. I collegamenti e le corrispondenze tra le parole e le cose sono ritrovati tramite l’intuizione incosciente, ribattezzata “immaginazione senza fili”.

Per imporsi all’attenzione dei “borghesi benpensanti” per raggiungere in definitiva la massa – anch’essa conseguenza della modernità e del progresso – il futurismo promuove l’invenzione di tecniche straordinarie di propaganda e nuove forme di réclame, che mirano a sorprendere e scandalizzare, scardinando le convenzioni che regolavano la produzione culturale e artistica e la sua circolazione nella società.


I MANIFESTI

Per diffondere i propri programmi l’avanguardia futurista non adotta il genere tradizionale del “saggio” ma il “manifesto”. I manifesti assumono perciò non solo la caratteristica di supporto teorico alla produzione artistica del movimento, ma anche quella di forma immediata di azione.

È un mezzo pubblicitario, non tanto da leggere, ma da declamare e da diffondere in modo spettacolare. Marinetti gestisce molto bene la forma-manifesto in funzione propagandistica. Con lui il manifesto diventa un “genere” nuovo di cui non si trascurano gli aspetti linguistici e iconici. L’esposizione dei programmi è per punti o paragrafi numerati.

Si mira più alla velocità che alla chiarezza, più a mettere in mostra la propria diversità che a discutere e approfondire le proprie tesi. Il tono non è discorsivo, didascalico ma aggressivo, apodittico, pieno di metafore, simboli e analogie.

Il contenuto è evidenziato da un’impaginazione e una grafica che utilizzano in modo efficace caratteri di forma e grandezza diverse ed anche il colore. Questi documenti elencano soprattutto ciò che viene rifiutato e poi gli obiettivi da raggiungere, le proposte concrete di rinnovamento.

Il manifesto è anche opera collettiva, scritto a più mani o comunque firmato da persone che vi possono aderire successivamente. “Suo carattere peculiare è quindi una sorta di combinazione tra alcune forme letterarie tipiche dell’epoca industriale: il documento partitico, le carte aziendali (programmi, bilanci, consuntivi), la relazione scientifica”.


IL MITO DELLA VELOCITÀ E LE SUE DIMENSIONI TRA PROGRESSO E DISTRUZIONE

[3]

Per la cultura italiana il Futurismo è stato “una brusca e salutare scossa anti-tradizionalista e anti-accademica”, “l’insoddisfazione di fronte alla pigrizia e all’inerzia della cultura ufficiale, l’ansia di una potenza nuova e diversa” rappresentano una realtà diffusa nell’Italia del periodo tra le due guerre.

Negli anni venti il Futurismo si trova perciò ad esprimere un’esigenza reale di quei tempi: essere moderni.

Merito del Futurismo è dunque quello di aver energicamente ribadito questo “problema della modernità”, di aver incoraggiato una certa dimensione europea e sprovincializzazione della poesia ed arte italiana, di aver influito sulla nascita di un linguaggio nuovo, stimolando la sperimentazione. Ma all’interno di tali aspetti, come già allora molti avevano individuato, è presente il germe distruttivo della modernità, la confusione tra “attività” e “attivismo”, l’istrionismo, il cerebralismo rozzo e aggressivo, il vitalismo esasperato.

Con la sua adesione agli aspetti più esteriori della civiltà industriale, la rivoluzione futurista è contraddittoria e mistificante; identificava il nuovo con l’innovazione tecnologica e si esalta in una fiducia nel progresso della scienza, rinunciando a priori ad ogni critica.

La storia del Novecento ha dimostrato che si è trattato di una rivoluzione rovesciata: non c’è la rivolta dell’uomo contro la macchina e il sistema che l’ha prodotta, ma l’adesione ad un modello fondato sui ritmi meccanici e sulla perfezione degli ingranaggi.

È qui si nasconde il limite: la disumanizzazione dell’arte, della vita e persino della natura.

Gareggiando con la macchina in velocità e precisione, il Futurismo ha dimenticato la sorte dell’uomo. Così l’“uomo futurista” ha finito col perdere se stesso in un mondo dominato dall’imperialismo industriale e dalla guerra.


[1]componimento poetico, d’origine greca per il culto dionisiaco, di metro vario e dal rimo vivace per l’esaltazione della gioia

[2]“avanguardia” originariamente si riferiva al campo della strategia militare, poi passò a quello politico, designando i gruppi che dovevano guidare le masse. Il termine in ambito letterario indica i movimenti artistici e letterari degli inizi del Novecento. che con un programma e con proprie parole d’ordine, hanno espresso il rifiuto della tradizione ed i rigidi canoni letterari e, in polemica aperta verso il proprio tempo, hanno proclamato un rinnovamento radicale di strutture, linguaggi, tecniche, Il Decadentismo in particolare ha spezzato per primo il monopolio dei codici e ha aperto la via allo sperimentalismo, facendo proliferare il nuovo, il diverso, l’inedito. Riferendosi al primo Novecento (1905 - 1930), la critica parla di “avanguardie storiche” (cubismo, futurismo, surrealismo, dadaismo, espressionismo) per distinguerle dalle “neoavanguardie” sorte negli anni ‘50 e ‘60 in Europa e in America (astrattismo, pittura informale, pittura gestuale, iperrealismo, pop-art, letteratura beat, cultura underground, nuove forme di teatro, nouveau roman, opere ispirate allo strutturalismo).

[3]Tratto da www.Valsesia scuole.it  


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Ultimo aggiornamento: 07-02-2011.