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Il Fascismo

 

 

 

LA VITTORIA IMPOSSIBILE E L’IMPOSSIBILITÀ DELLA VITTORIA

La svolta storica della vita di pilota tra velocità e passione è datata 1930. L’Alfa Romeo, infatti, gli offre una macchina ufficiale della Casa, una 6C 1750 GS «testa fissa» per la Mille Miglia. Nuvolari fa impazzire mezza Italia: vince la grande corsa[1] ed è il primo pilota che percorre i 1600 chilometri del tracciato ad oltre 100 di media.

Il 1932 rappresenta per il pilota una stagione trionfale.

La sua popolarità diviene straripante, i “grandi” dell’epoca se lo contendono, dopo D’Annunzio, anche Mussolini riceve il pilota nella sua residenza di Villa Torlonia e posa per i fotografi al volante della vittoriosa Alfa Romeo P3 numero 8.

Gli anni che seguono, anche se non privi di contrarietà ed incidenti costituiscono il momento culminante della sua carriera: è considerato un eroe, un eroe che rafforza l’immagine dell’Italia che vince.

È un eroe per l’automobilismo perché rischia la vita tutti i giorni, ma anche perché i mezzi di informazione, spinti dal regime fascista lo descrivono sempre come tale.

Coppa VanderbiltNegli anni Venti e Trenta i racconti delle imprese di Nuvolari hanno sempre i toni della narrazione epica, della leggenda; egli appare davvero un superuomo, ma è l’opposto del superuomo è un uomo comune in cui è facile identificarsi, impersonifica sempre di più l’eroe moderno capace di sintetizzare in sé tutti i valori della lealtà e della generosità sportiva. Nell’immaginario della gente è, infatti, diventato il simbolo di chi, nonostante i limiti imposti, affronta con coraggio la vita, supera ogni ostacolo e vola verso la meta.

Il 28 luglio 1935 quando le Mercedes e le Auto Union di fabbricazione tedesca avevano tutti i favori del pronostico, la gara al Nürburgring assunse un significato politico, un confronto tra le due più grandi potenze automobilistiche del mondo e soprattutto la dimostrazione del sorpasso della Germania ai danni dell’Italia.

Nel 1933, due anni prima infatti le Alfa italiane avevano superato le macchine tedesche sul circuito berlinese dell’Avus davanti agli occhi costernati del neoeletto cancelliere Hitler. In quell’occasione il Führer decise che la Germania doveva diventare una nazione all’avanguardia nella fabbricazione di automobili ed iniziò una politica d’incentivi per le produzione automobilistica; per Hitler anche lo sport doveva servire a dimostrare la potenza e la superiorità della razza ariana.[2]

Per la gara al Nurburgring la casa italiana, costretta dagli eventi, riprende la vecchia auto progettata da uno dei più geniali ingegneri del mondo delle corse di quel tempo, Vittorio Jano, che con il supporto di Nuvolari studiò l’evoluzione della vettura di sua creazione con l’obiettivo dichiarato di riuscire ad arrivare alla corsa in Germania in modo decoroso. Nuvolari nelle fasi precedenti dichiarò più volte che il tracciato del Nurburgring, pieno di curve era adatto alla sua tecnica, ma non prometteva la vittoria.

Il gran premio di Germania era considerato il più prestigioso del mondo insieme con quello di Monza, in più Hitler, ormai sicuro di vincere, aveva provveduto personalmente ad invitare le Alfa a parteciparvi. L’andamento delle prime prove non fece che confermare i pronostici della vigilia e sui giornali apparve: Nuvolari ha solo un glorioso passato, ma il presente ed il futuro appartengono ai piloti di Hitler”. Il giorno della gara l’elemento di maggiore interesse per i duecentomila che affollavano le tribune era costituito solo dalla scommessa sulla migliore auto tedesca, Mercedes o Auto Union, al cui vertice stava uno dei personaggi simbolo dell’automobilismo mondiale, Ferdinand Porsche. Il circuito di gara è molto tecnico, è lungo 28 chilometri, ha 174 curve ed un dislivello complessivo di 700 metri: l’ideale per le caratteristiche tecniche di guida di Nuvolari. Già nell’ultimo giorno di prova, nell’ultimo giro utile, il pilota mantovano segna il miglior tempo assoluto. “Oggi vinco io e la bandiera che sventolerà deve essere all’altezza della mia impresa”.

Quando inizia l’ultimo giro, che è di 28 chilometri, con trenta secondi di ritardo da Von Brauchitsch nessuno pensa che sia possibile una rimonta. In casa Alfa c’è già grande soddisfazione per il probabile secondo posto e per la bella figura rimediata, il maggiore Huhnlein, incaricato della premiazione, sfodera il suo bel foglietto con un discorso teso a magnificare le doti delle macchine e del popolo tedesco e due soldati alzano la bandiera tedesca sul pennone più alto.

Quando dalla curva appare la prima macchina c’è un’ovazione di tutto il pubblico che, causa il fango che si è depositato sulla carrozzeria, non si accorge che quella macchina non è del colore argento che caratterizza le vetture tedesche, ma è rossa, il colore dell’Italia.

VIDEO VITTORIA IMPOSSIBILE


IL MITO DELLA VELOCITÀ HA REALIZZATO LA VITTORIA IMPOSSIBILE

È interessante perciò riflettere sul significato che Nuvolari può aver assunto in un’epoca difficile e complessa come quella tra le due guerre. Egli ha quasi sempre guidato vetture italiane e con esse ha sfidato tutte le case automobilistiche del mondo, vincendo spesso e portando così grande lustro all’Italia da un lato ed al fascismo dall’altro.

Le cronache dell’epoca raccontano che quando il pilota mantovano incontrò Mussolini rimase molto commosso da quell’incontro, ma la testimonianza non deve indurre a concludere che Nuvolari fosse un convinto fascista o che corresse per dare lustro al regime. 
Mussolini intuì ed utilizzo sempre le potenzialità propagandistiche dello sport.

Per la sua spettacolarità d’uomo comune ma vincente, anche Nuvolari finì per essere strumentalizzato dal fascismo che, come ogni nazionalismo, si servì del pilota e delle vittorie sportive per avvalorare, ad uso interno ed esterno, l’immagine di un’Italia forte e vincente, di un’Italia che poteva stupire il mondo.


[1] La corsa fu ed è tuttora ricordata per un episodio curioso, la cui veridicità è stata vanamente contestata: Nuvolari avrebbe raggiunto il suo grande rivale Varzi, partito dieci minuti prima di lui, guidando negli ultimi chilometri a fari spenti. A spegnerli sarebbe stato il suo coéquipier Giovan Battista Guidotti, il quale ripeté poi questo racconto in una quantità di interviste, incurante delle obiezioni, prima fra tutte quella che il sorpasso avvenne a giorno fatto. Lo stesso Nuvolari, del resto – il quale sapeva bene che la leggenda a volte «vale» più della storia – non smentì mai l’aneddoto.

[2]A quell’epoca la Germania era in ginocchio, il popolo era esasperato dall’odio di classe e dalla crescente disoccupazione e Hitler cercava di acquistare il massimo consenso dai tedeschi con la propaganda politica ed ideologica, ma anche con le grandi manifestazioni, con lo sport e con il razzismo motoristico. Stanziò immediatamente 450.000 marchi per finanziare i progetti di Mercedes e Auto Union di Porsche, affinché preparassero delle macchine da grand prix degne delle ambizioni della nuova Germania. Fondamentalmente quei finanziamenti erano sufficienti solo per coprire le spese dei progetti delle otto cilindri Mercedes, ma ebbero il merito di riportare l’entusiasmo intorno al mondo dei motori ed i primi risultati si videro già nel 1934.

Le macchine tedesche, infatti, cominciarono a vincere ed in poco tempo conquistarono un’indiscussa supremazia mondiale, mentre al contrario l’Alfa faticava con le vetture non più all’altezza bolidi d’argento.


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Ultimo aggiornamento: 07-02-2011.