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IL POETA, IL PILOTA E LA TARTARUGA

La passione per i motori e per la velocità e il coraggio di tentare sempre l’impossibile sono gli elementi che legano D’Annunzio e Nuvolari, protagonisti di un’epoca ma profondamente diversi e lontani.

Nuvolari e D’Annunzio si sono conosciuti il 28 aprile 1932 nella piazzetta adiacente la “Prioria”, residenza del poeta a Gardone Riviera (Brescia).

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Non è stato un lungo incontro, sono rimasti, insieme sette ore: alla fine, dopo la colazione servita nel “Cenacolo”, il poeta ha regalato al pilota una sua foto con dedica e una tartarughina d’oro, accompagnata dalle parole: “All’uomo più veloce del mondo, l’animale più lento”.

Da quel giorno Nuvolari ha sempre portato con sé il piccolo talismano


D’ANNUNZIO E LA TECNICA

Notevoli sono stati gli interessi di D’Annunzio per l’automobile, l’aereo e i tanti aspetti delle innovazioni della meccanica e della tecnologia. Egli già nel 1895 parlava della sua epoca come quella del terzo Rinascimento (che seguiva il primo rinascimento dell’età di Pericle ed il Rinascimento Leonardesco della Firenze tra il 400 e 500). Il nuovo Rinascimento individuato da D’Annunzio comprende tutte le innovazioni tecniche, prima tra tutte il “velivolo[2]”, che consentono rapidità di spostamento anche alle masse. Il poeta perciò è sempre stato attento e sensibile ad ogni fatto moderno - nella società, nella sua vita personale, nell’opera letteraria, senza averne paura ma anzi divenendone acceso promotore con varie manifestazioni collegate ai nuovi cambiamenti, al culto dell’immagine ed alla persuasione della masse.

Negli epistolari e nei suoi scritti, conservati presso gli archivi del Vittoriale sono presenti tutte le sue annotazioni ed osservazioni sul volo rettilineo, sulla potenza motrice disponibile a bordo di un aeroplano, sulla variazione dell’incidenza delle ali, sulle qualità tecniche dei velivoli Caproni.

Alle molte letture tecnico-aviatorie, D’Annunzio alterna quelle sui motori mossi dalla forza eolica e sui motori delle automobili e raggiunge una notevole preparazione.

In una lettera all’autista il poeta scrive “durante la stagione invernale è bene che tu tenga il radiatore parzialmente coperto, specialmente se la vettura è soggetta a frequenti arresti ed avviamenti, poiché il motore potrà così rapidamente raggiungere la temperatura di regime, assicurando una completa vaporizzazione della benzina. Come ben sai, il razionale funzionamento di un motore dipende principalmente dall’accensione ininterrotta; dall’alimentazione di benzina continua al carburatore e soprattutto dalla buona compressione”.

La vasta conoscenza scientifica acquisita da numerose letture e studi si riversa anche nella sua opera letteraria: D’Annunzio così trasforma il cosiddetto “tecnicismo” in “lirica”, rende cioè poesia la scarna descrizione tecnologica, utilizzandola per comunicare una propria impressione ed un proprio stato d’animo o “umanizzando” gli oggetti.

Nel romanzo “Forse che sì forse che no”, il motore è il “cuore di metallo” dal “tono potente e costante” al quale prestare “l’orecchio attentissimo alla sestupla consonanza” che va musicalmente “riaccordato” per riudire “il lavoro dei cilindri ridivenuto unisono, il palpito energico ed esatto”.

Il rumore del motore è musica e respiro; il motore “romba” “ansa” diviene “fragore umano”, quando è sforzato all’assalto dell’erta e quando gravemente s’ammala, “s’incidenta”, non pulsa più.

Ancora nel Forse che sì forse che no una conversazione è decritta con un esempio tecnico: “veramente l’uno e l’altro sangue si rafforzavano, balzavano, l’uno contro l’altro parevano ardere ed esplodere come l’essenza accesa dal magnete del motore celato dal lungo cofano”.

Nel “Compagno dagli occhi senza cigli” il motore monoposto deve essere ascoltato perché ha il suono misterioso di una viola, “nei ritorni di notte, quando la vita è bella dietro la nera mitragliatrice di prua che ha beffato la morte il coraggio canta meravigliosamente accompagnandosi col triplice motore, come con una viola pomposa accordata in do. Beppino Miraglia m’iniziò al mistero di questa musica”. “Ecco che la musica viene a me in forma di gentil donna, senza contrariare la monofonia dei miei motori”.

Nel “Notturno” numerose sono le immagini dedicate al “rombo assordante del motore”, al “battito del motore”, al “suo tono affievolito”, al pulsare di un motore canotto che ha un palpito energico.

Infine nella “Licenza alla Leda senza cigno”, D’Annunzio dichiara di aver molta pratica di motori a scoppio e ancor più di “motori a combustione di dritta”; la sua auto grigia, snella, vibrante è paragonata ad una piccola torpediniera, che fende i battaglioni che si aprono dinnanzi e l’imbarcazione “Jalea”, dal motore elettrico ormai fermo, è come una donna stanca che s’abbandona, inerme, al suo tragico destino.

E se la frase “più dei motori possono i cuori”, più volte ripetuta nella Beffa di Buccari, è la più famosa per capire alcuni atteggiamenti del poeta, anche le parole scritte poco prima del volo su Vienna[3], nel 1918 sono significative per comprendere l’indissolubile rapporto tra la vita del mezzo tecnico e vita dell’uomo-eroe:Voi dunque siete i miei cinque giurati a mantenere tra la mia ala e la vostra, siamo alla metà, la distanza prefissa. Nessuno di voi si arresterà se non con l’ultimo battito del motore. Non vento, non nuvolo, non tempesta, non malessere, non ostilità alcuna, non avversità alcuna potrà essere causa di arresto o ritorno. Parlo chiaro? Mi intendete? Ciascuno di voi atterrerà, o precipiterà quando il motore abbia cessato di battere senza speranza di ripresa”.

D’Annunzio compie degli studi approfonditi in un ottimo collegio, il Convitto Reale Bisognini di Prato, dove studia bene il latino, il greco ed altro, ma alla carriera universitaria preferisce quella di scrittore giornalista. Tale formazione anomala dà a D’Annunzio il vantaggio di un aggiornamento culturale europeo e gli offre un’impostazione diversa da quella degli altri intellettuali italiani, suoi coetanei. D’Annunzio ha una delle prime automobili esistenti in Italia, così come manifesta immediato interesse per il fonografo, per la fotografia ed il cinema, concepiti come strumenti importanti di falsificazione, al contrario di altri intellettuali - come Benedetto Croce - che negavano alla fotografia ed al cinema ogni valore artistico.

Egli non solo non ha paura di tale modernità tecnologica, ma diviene acceso promotore di ogni manifestazione collegata, la persuasione delle masse, la pubblicità. Diviene perciò protagonista delle forme pubblicitarie, più avanzate quale ad esempio l’invenzione di detti o appositi vocaboli.

Tale atteggiamento nei confronti dell’automobile o dell’aereo, è strettamente collegato alla sua posizione ideologica.


IL POETA E LA VELOCITÀ

L’automobile, che Marinetti canta al maschile, per D’Annunzio ha un fascino tutto femminile.

Il Poeta è fra i primi a credere al futuro dell’auto, ne subisce il fascino dopo aver assistito il 10 agosto 1907 alla conclusione dei Raid automobilistico Pechino-Parigi, vinto dall’equipaggio italiano con l’Itala; è questa la vittoria che apre l’era dell’auto, e più in generale, del motore e della macchina.

Da quelle giornate, vissute con passione e curiosità, nasce il suo romanzo, “Forse che sì forse che no”, pubblicato nel 1910, in cui D’Annunzio esalta le nuove macchine che stavano cambiando la vita dell’uomo. L’automobile e il “velivolo” sono rappresentate mistificate e mitizzate.

Anche il poeta possiede una vettura Florentia 35 HP che raggiunge i 70 km orari e che gli permette di adeguare il proprio stile di vita alla moda del tempo; la macchina è rossa come quella nella quale Paolo nel romanzo fa una temeraria corsa sull’“antica strada romana”.

Il protagonista Paolo Tarsis, aviatore, ha una forte passione per i nuovi mezzi della tecnica, ama la velocità, si sente un eroe un esploratore di nuove strade per l’uomo, è proiettato verso la scoperta e la conquista. Questo superuomo sportivo è però prigioniero di una situazione di malessere è schiavo dell’amore che lo lega a Isabella, mentre è oggetto dell’amore appassionato della sorella di lei, Vana. Tra Isabella e il fratello Aldo c’è un’intesa segreta ed esclusiva che turba fortemente Paolo, il quale viene informato da Vana che tra i due c’è in realtà un rapporto incestuoso. Nonostante questo Paolo non riesce a staccarsi dall’amante e Vana si toglie la vita. Solamente l’improvvisa pazzia di Isabella e un volo ardimentoso faranno rinsavire Paolo, che partendo dal Lazio raggiungerà incolume la Sardegna.

In D’Annunzio l’esaltazione della velocità è una concezione di vita, una passione.

La sua irresistibile ansia di velocità e d’infinito non può avere sufficienti strade né spazi e questa sofferta limitazione lo porta ad essere promotore di battaglie a vantaggio della viabilità, non ultima, quella condotta per la realizzazione della Gardesana Occidentale che chiamerà “Meandro”.

Nella vita fa di tutto per possedere automobili splendide e fuori-serie e ne colleziona diverse, anche a costo di forti debiti; il Sen. Agnelli gli regala un’elegantissima Fiat 509 cabriolet[4].


D’ANNUNZIO E LA MODERNITÀ

Protagonista delle grandi innovazioni del Novecento, interprete dei nuovi bisogni della società di massa, all’inizio del secolo Gabriele d’Annunzio esalta la profonda alleanza della macchina con l’uomo. Liberando l’uomo dalla schiavitù della fatica, la macchina per D’Annunzio realizza i sogni che il mondo antico aveva espresso attraverso il mito di Icaro e Prometeo.

Nel Primo Libro delle Laudi, in “Maia”, composto nel 1903, D’Annunzio innalza con la Preghiera ad Erme, Un inno alla macchina, per esaltare i valori del mondo industriale e le grandi imprese finanziarie, la grandezza degli apparati tecnologici.

Il concetto chiave del superomismo dannunziano è già presente come celebrazione dell’energia vitale, dell’attivismo, del dinamismo. È l’esaltazione della vita e della varietà del mondo che si offre alla conquista ed al potere dell’uomo.

D’Annunzio immagina di navigare nel mar Greco insieme con alcuni compagni, alla ricerca delle proprie origini. Durante questo viaggio, avviene l’incontro con Ulisse: l’eroe - invecchiato, ma ancora forte, vigile e valoroso - è ripartito dopo il ritorno ad Itaca e naviga anch’egli per quelle acque, da solo su una nave, con l’unica compagnia del suo famoso arco. È lui, per D’Annunzio, il vero superuomo, che fa a meno tanto degli uomini - Penelope e Telemaco, nuovamente abbandonati ad Itaca, o i compagni - quanto di Dio. Al racconto del viaggio nel passato segue un ritorno al presente, alla vita delle città terribili dominate dal denaro e dal grigio squallore della folla. Nella folla però D’Annunzio coglie un’attesa di rigenerazione, un futuro creato dal lavoro e dall’industria.

Anche nel romanzo “Forse che sì, forse che no”, ambientato in parte sull’aerodromo di Montichiari, la folla può superare la passività solo quando è esaltata dal pericolo e dalla morte.

dannunz.jpg (14144 byte)Le macchine del romanzo sono poi un’allegoria dell’esistenza e servono all’autore per trattare la contraddizione psicologico-esistenziale fra la macchina terrestre, l’automobile, che simboleggia le forze oscure e diaboliche, portatrici di morte, e la macchina celeste, l’aeroplano, che è invece speranza di purezza e liberazione.

D’Annunzio non si limita a cantare il mondo, ma il mondo intende cambiarlo. Si può quindi parlare, tanto nelle opere quanto nella vita di D’Annunzio, di un’idealizzazione del mondo: la sua fantasia lotta per imporre sulla realtà del presente, vissuto con disprezzo, i valori “alti” ed “eterni” di un passato visto come modello assoluto di vita e di bellezza.

D’Annunzio per alcuni decenni ha rappresentato un modello di comportamento un ideale uno stile di vita che ha influenzato non solo la produzione letteraria, ma anche il costume e la società italiana. L’attenzione che egli attira su di sé è enorme, egli vive la vita come un’opera d’arte e trasferisce nella poetica la sua vita.

Diviene il riproduttore e l’amplificatore degli stati d’animo e degli impulsi che agiscono sulle masse. Ciò porta alla creazione di un vero e proprio “pubblico dannunziano”, condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, che lo scrittore costruisce attorno alla propria immagine. Da una parte si colloca così l’estetismo, cioè l’esaltazione dell’aspetto formale dell’arte, il culto religioso del bello, dall’altra l’individualismo soggettivistico, cioè l’esaltazione della figura superiore dell’eroe e del poeta. L’estetismo, la sensualità, il superuomo ed il culto per l’avventura l’interventismo la retorica imperialistica si mescolano all’arte, costituiscono gli elementi caratteristici delle sue opere.

L’“uso” della parola nella produzione dannunziana segue un’evoluzione estremamente particolare, che coincide da un lato col carattere dell’“uomo” D’Annunzio, dall’altro con gli aspetti più concreti del mondo che egli contribuisce a costruire.

Il piacere fisico e gestuale della parola ricercata, della sonorità quasi fine a se stessa, della materialità del suono come aspetto della sensualità, caratterizza la poetica delle Laudi e matura in tutta l’opera teatrale.

Questo cammino con l’avvio della “macchina da guerra” diventa un vero e proprio tentativo di conquistare la folla, sia per dominarla che per annullarsi in essa, dagli anni della propaganda interventista a buona parte del ventennio fascista.

Il poeta non si accontenta più dell’effetto, ma cerca “l’incarnazione” della parola, “l’incantesimo” che prende forza dal “contatto” con un’“umanità agglomerata e palpitante”.

Ma dopo la scrittura ed il clamore, egli sceglie il silenzio per delimitare i confini del “proprio mondo”; non avendo più strumenti comunicativi adatti alla realtà, D’Annunzio trova nel silenzio l’unica possibilità in grado di mantenere in vita il proprio personaggio.

Lamenta che il fascismo l’ha “usurpato”, costringendolo quasi ad assumere la paternità di un movimento che disapprova: “vedo ogni giorno sperperato e falsato il mio mondo ideale”


 

 

[1] Nuvolari su Alfa Romeo 8C 2300 sfida il biplano Caproni nel 1931

[2] Velivolo: Il vocabolo viene introdotto da D’Annunzio per definire la “macchina volante” nel romanzo Forse che sì forse che no “Ora v’è un vocabolo di aurea latinità – velivolus, velivolo – consacrato da Ovidio, da Vergilio, registrato anche nel nostro dizionario; il quale ne spiega così la significazione: "che va e par volare con le vele.

La parola è leggera, fluida, rapida; non imbroglia la lingua e non allega i denti; di facile pronunzia, avendo una certa somiglianza fònica col comune veicolo, può essere adottata dai colti e dagli incolti. Pur essendo classica, esprime con mirabile proprietà l’essenza e il movimento del congegno novissimo.”

Si devono al poeta anche altre espressioni : prima di avviarsi al raid su Pola con gli aerei Caproni, per bombardare le postazioni militari, D’Annunzio sostituisce il grido d’incitazione Ip Ip Ip. Urrah! con il classicheggiante Eia Eia Eia. Alalà! (ripreso da scrittori greci Pindaro ed Eschilo.

[3] Negli ultimi giorni di giugno del 1918 D’Annunzio, al comando della Squadra Aerea S. Marco, partecipa ai bombardamenti sulle truppe austriache sul Piave e al grande bombardamento di Pola. Queste azioni gli consentono dell’autorizzazione per un volo su Vienna, precedentemente negato dal Comando Supremo a causa delle difficoltà tecniche dell’impresa, legate soprattutto al problema dell’autonomia degli apparecchi per un volo di mille chilometri. “Il volo avrà carattere strettamente politico e dimostrativo; è quindi vietato di recare qualsiasi offesa alla città. Con questo raid l’ala d’Italia affermerà la sua potenza incontrastata sul cielo della capitale nemica. Sarà vostro Duce il Poeta, animatore di tutte le fortune della Patria, simbolo della potenza eternamente rinnovatrice della nostra razza. Questo annunzio sarà il fausto presagio della Vittoria”. Dopo alcuni tentativi falliti per la nebbia ed il vento contrario, finalmente il 9 agosto, alle 5.50, dal campo di San Pelagio (Treviso) si alzarono undici apparecchi: un biposto col pilota capitano Natale Palli e Gabriele d’Annunzio, e dieci monoplani, di cui solo sette sono giunti su Vienna dopo 4 ore per lanciare 50.000 copie di un manifestino in italiano preparato dal Poeta -”…….Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo. Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino.”- e 350.000 copie di un secondo più pratico, manifestino scritto da Ugo Ojetti e tradotto in tedesco. “Viennesi ! Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle liberta nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni. Viennesi ! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perchè vi siete messi l’uniforme prussiana ? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi Volete continuare la guerra ? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate ? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani ? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’craina: si muore aspettandola.

Per questa azione D’Annunzio riceverà la medaglia d’oro. Anche al termine della guerra è enorme la sua protesta contro gli accordi di pace che non risarciscono giustamente le vittorie dell’Italia: non si limita ad arringare la folla, ma con un colpo di mano occupa Fiume il 12 settembre 1919. Governerà la “città di vita” per quindici mesi, emanando leggi come reggente, appoggiato all’esterno da Mussolini.

[4] D’Annunzio ha posseduto un enorme numero d’automobili, tutte di gran valore e prestigio. La stampa dell’epoca lo definisce come un automobilista pericoloso, amante della velocità, lanciato per strade a sollevare nuvole di polvere, a scatenare proteste di genti “pedestri”, a provocare fiere contestazioni per infrazioni alle regole stradali.

Nel 1928, D’Annunzio possedeva nella raffinata linea della carrozzeria Castagna la vettura Isotta 8° di cilindrata 5000 8 cilindri. Poi dopo la conoscenza delle vittorie dell’Alfa Romeo contro i bolidi dell’Auto Union e della Mercedes D’Annunzio è stato attratto dalle Alfa, la 1750 5° serie e la 2300 T chiamata “Soffio di Satana” per la sua linea leggerissima.

Nel settembre 1936, splendente nei suoi colori rosso e blu, il poeta possedeva la nuova Isotta 8B, otto cilindri cabriolet; fabbricata nel 1931 – ne sono state prodotte 1740 nel mondo, è uno dei cinque esemplari conservati in Italia. La sigla RA 52 della targa sta ad indicare Regia Aeronautica perché appartenente ad un generale di Brigata aerea che, tra i privilegi del grado ha anche quello di disporre di un autista militare della vicina scuola d’Alta Velocità di Desenzano. Il poeta la battezza Traù in omaggio alla città martire della Dalmazia. È la sua ultima autovettura.


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Ultimo aggiornamento: 07-02-2011.