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TAZIO NUVOLARI E IL MITO

DELLA MODERNITÀ IN ITALIA TRA PROGRESSO E CATASTROFE

La figura e il mito di Tazio Nuvolari hanno sollecitato la creazione di questo lavoro che vuole svilupparsi sulla “filologia” del mito della modernità e sull’“interpretazione” dell’emblema che il pilota mantovano ha rappresentato. “Il pilota impossibile” è perciò un’icona per interpretare, grazie ai nuovi linguaggi della tecnologia e della multimedialità, l’Italia in un’epoca di grandi trasformazioni sociali, economiche, ambientali e di costume, dagli anni Venti alla metà degli anni Cinquanta. Protagonista con leggenda delle Mille Miglia diviene personificazione del mito della velocità e dell’automobile emblema della nuova civiltà industriale nelle pieghe dell’antica civiltà contadina.

Tazio Nuvolari per esperienza inquietudini azioni, nel periodo tra le due guerre in Italia, può dunque identificare il concetto della modernità nelle sue contrastanti dimensioni, come velocità, come sviluppo di scienza tecnica forza fisica e idolo meccanico, della modernità come sfida per una vittoria impossibile, della modernità come apparenza e realtà, in ultimo come corsa verso la distruzione.


IL PILOTA

Figlio di un agricoltore di Castel d’Ario, “Nivola” (soprannome di Nuvolari) nasce nel 1892 e coltiva giovanissimo la passione per i motori e per lo sport. Egli è stato negli anni dal 1922 al 1938 e poi, dopo il dramma della 2° guerra mondiale negli anni dal 1946 al 1953, un pilota senza eguali che non conosceva ostacoli, che si beffava delle leggi fisiche, che aveva la velocità nel sangue. Del “mantovano volante”, “il figlio del diavolo” si raccontavano molto spesso episodi incredibili, frutto della fantasia popolare, che del campione aveva fatto il proprio idolo.


LA SUA CORNICE: LA MILLE MIGLIA

“La più bella corsa del mondo”, le cui origini devono essere inquadrate nelle gare automobilistiche degli inizi del Novecento, è stata una competizione che come evento sportivo e mondano ha accompagnato l’Italia dal 1927 al 1957. La leggendaria corsa consente di cogliere alcuni aspetti della storia sociale dell’Italia, in quanto portava per le strade i sogni e le passioni di un paese ancora contadino innamorato di una modernità motorizzata e rombante. Tuttavia quella che assisteva alle ultime corse del pilota era ancora un’Italia sostanzialmente povera: metà dei capifamiglia andava al lavoro pedalando in bicicletta e l’altra metà lo faceva a piedi. Nel 1953, anno della morte di Nuvolari, c’erano ventimila automobili in meno, rispetto al 1938.

Da Brescia a Roma, andata e ritorno, 1600 chilometri sulla viabilità ordinaria, attraverso la campagna, dentro i paesi e le città, con centinaia di vetture di tutti i tipi, la Mille Miglia attraversava l’Italia nel corso della sua prima industrializzazione e poi dopo la 2° guerra mondiale, nei primi anni della ricostruzione.

Sotto il fascismo, in particolare a partire dal ‘30, anno della prima vittoria della coppia Nuvolari - Guidotti, la notorietà della corsa automobilistica non conosce limiti: la locale opera Balilla indice il concorso per componimenti degli scolari delle elementari dedicati alla Mille Miglia. Mussolini nelle dodici edizioni anteguerra, con il suo percorso disegna una specie di otto che passa per Roma e Bologna e congiunge più di trenta province. La Mille Miglia è oggetto di notevoli entusiasmi, strumento di propaganda per diffondere la modernità, gode del favore del fascismo, svolge una notevole funzione per l’industria automobilistica. Ma a contrasto con l’immagine prorompente di modernità che emana, la corsa si snoda in mezzo alla campagna piatta, sulle strade dritte e strette spezzate di tanto in tanto dai borghi della pianura padana e allungate verso gli Appennini, piste dell’impossibile.

Sui percorsi della Mille Miglia, si allenano i futuri campioni che non avevano paura se non della loro debolezza: Nuvolari, Varzi, Ferrari, qui cresce e si alimenta il mito di “Nivola” e delle sue accanite sfide con Achille Varzi, in un leggendario e fiero antagonismo, come nella Mille Miglia del 1930, quando Nuvolari raggiunge a fari spenti Varzi, e lo supera.

«Uomo spiccio e caustico», Nuvolari parlava poco, occhi scuri e spesso tristi, amava indossare una maglietta giallo oro un po’ stinta, pantaloni attillati azzurri e un nastrino tricolore al collo. Una specie di divisa che ne risalta la semplicità, quella di uomo che ha sperimentato la guida veloce durante la 1° guerra mondiale, come autista di Ambulanza.

 


MITO NEL MITO

Nuvolari era capace di vincere anche nelle condizioni peggiori: una volta, addirittura, senza il volante... “Asso degli assi”, che non partiva mai battuto, come scrissero i giornali del secondo dopoguerra. L’ammirazione per il “guerriero indomito” degli autodromi era quasi una fede collettiva. Nuvolari impersonava l’irruenza e il coraggio, l’audacia e la fantasia. Per la folla, che è la sola vera depositaria dei miti, Nuvolari era solo un nome sfrecciante a bordo della Chiribiri, dell’Alfa, dell’Auto Union, della Ferrari: una folgore intravista da parecchi ma solo per pochi istanti, e percepita da tutti come fenomenale icona della destrezza e del fegato, della velocità e dello sprezzo della morte.

Negli anni venti e trenta Nuvolari correva nel territorio, tra il granturco e i pioppi, tra le case e i campi dell’Italia contadina, con una cieca fede nel rombo generoso di una modernità tutta ancora da verificare...


LE RISORSE

«La curva di Nuvolari era un miracolo di coraggio: dérapage sulle quattro ruote, anticipando cioè la traiettoria per ritrovarsi avvantaggiato sul rettilineo successivo, piede sempre a tavoletta sull’acceleratore, un’impresa che nessuno riusciva a realizzare». Arrivava ai limiti dell’impossibile: quelle curve Tazio le chiamava “risorse”, solo con le curve poteva compensare l’inferiorità della vettura. Perché spesso correva in condizioni d’inferiorità tecnica. Il fantino prodigioso, la freccia volante era in grado di domare le infernali lamiere che già allora sfioravano i trecento km/h, ma su gomme quasi rudimentali, strette, con i freni a tamburo che si scioglievano dopo poche strette di ganascia, senza l’elettronica correttiva che facesse da filtro tra il corpo del pilota e la pazzesca ferraglia da indirizzare, bene o male, lungo i declivi e le pianure della campagna italiana. Collezionava uscite di strada, incidenti, fratture, che provocarono la fioritura d’aneddoti e leggende sulla sua invulnerabilità.

Anche i motori, che avevano già cilindrate molto frazionate, otto e anche dieci cilindri, lungo i circuiti tracciati nelle comuni strade e per i paesi, sicuramente facevano un effetto strepitoso, anche per il contrasto così novecentesco, e così italiano, tra l’immobile paesaggio contadino e il mostro metalmeccanico che lo violava.


Nuvolari è stato grande sportivo, artista del volante ed è ancora oggi il simbolo della velocità. Nel contempo egli rappresenta un’intera società, nel continuo movimento e nella ricerca costante di rapidità e d’immediatezza. Il Ventesimo secolo si relaziona al movimento, non solo in quanto fenomeno fisico, ma soprattutto come concetto di ordine mentale. Tutte le manifestazioni culturali e le diverse espressioni dell’arte del Novecento sono permeate da una sorta di dinamismo virtuale e materiale.


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Ultimo aggiornamento: 07-02-2011.