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F. TOZZI: MODERNITÀ ED INETTITUDINE

Qualche automobile, proprio delle prime, faceva affacciare alla finestra e agli usci quelli che erano in tempo, meravigliati che passasse tra loro come se non ci fossero né meno stati; poi si scambiavano il solito sguardo e tornavano alle faccende”.

Nel romanzo Con gli Occhi chiusi di Federico Tozzi la nuova realtà della velocità della simultaneità, aspetti della modernità, privano di stabilità e di certezza la vita dell’uomo. Lo scrittore affronta il tema dell’inettitudine dell’uomo di fronte alla realtà anche con una organizzazione diversa del romanzo, crea quasi una narrazione simultanea di eventi, che sono costantemente spezzati e contraddetti da elementi accidentali.

Il tempo passa velocemente ed i personaggi del romanzo, assimilati al mondo animale, non hanno consapevolezza: sentono di esistere, ma quasi non ragionano (a differenza di quelli pirandelliani). Infatti, Pietro il protagonista, “sta bene con gli occhi chiusi”, sopraffatto dalla vertigine della vita.

Ora quei tre anni gli parevano rapidi come un giorno solo, perdevano ogni consistenza, anche mentale; come se appena gli avessero dato tempo di respirare

Con gli occhi chiusi, è un romanzo autobiografico in terza persona, la cui stesura risale al 1913, Tozzi scrive da autodidatta un romanzo antinaturalistico in sintonia con scrittori “moderni” quali Joyce.

Lo scrittore non sa spiegare il mondo che rappresenta, abolisce il punto di vista privilegiato, inserisce digressioni, omette la divisione in capitoli, organizza il testo in paragrafi non numerati che frammentano la storia, non rispetta l’ordine cronologico degli eventi e, soprattutto, non conclude.

Pietro, il protagonista, è un inetto, un “malato” ed è la sua vita interiore a tessere le fila del romanzo, il suo disagio di fronte agli altri, alla natura, quella sensazione d’estraneità alla sua stessa vita, quella sua «timidezza» sentita «come una malattia» in un mondo-incubo dominato dalla cattiveria, dall’incomunicabilità.

Lo stato d’animo condiziona, deformandola, la percezione della realtà, “tutta la campagna correva, correva troppo! Pareva a Pietro che lo sfuggisse e non lo volesse comprendere più […] La campagna si cambiava come i suoi stati mentali; ma non gli apparteneva. A Poggibonsi, un treno, allontanandosi, divenne a poco a poco più corto, finché non ne restò che l’ultimo vagone visto di dietro; e non si sapeva più se stesse fermo o se camminasse: come certe sue illusioni. I vagoni […] scuotevano la sua anima, la schiacciavano!”.


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Ultimo aggiornamento: 07-02-2011.